Sito www.oxygeneyoyo.com
Attivo dal 1997
Fondatore Carlo Alberto Menon
Modelli 6
Breve storia
Oxygène nasce nel 1997 quando il primo yo-yo che Carlo compra, e che aveva pagato ben 100 euro, si rompe.
Approfittando delle leghe e dei macchinari in uso dal padre che per lavoro costruisce valvole per motori da corsa cerca di creare uno yo-yo più robusto rispettando gli standard qualitativi dell’ingegneria meccanica da competizione.
Il primo esemplare con cuscinetto a sfera era molto simile allo yo-yo rotto, con il gap regolabile ed il cuscinetto molto piccolo ma, utilizzando il titanio per il perno ed una lega di
alluminio speciale per le coppe, era più resistente di ogni altro yo-yo in commercio all’epoca.
Di lì a poco ne costruì altri via via che la sua abilità di giocatore cresceva e nel 1999 dà vita alla seconda versione di Oxygène ma che fu la prima resa pubblica a tutti i giocatori italiani.
L’incontro con questi giocatori in raduni e meeting stimola Carlo a costruire yo-yo sempre più performanti, che lo portano a realizzare tutte le successive incarnazioni di Oxy.
Scheda
Il nome Oxygène è ben noto a giocatori e collezionisti di tutto il mondo. I modelli realizzati dal 1997 ad oggi, infatti, si distinguono tutti per la finezza della loro fattura, l’eleganza del loro design e, quel che più importa, per la sorprendente giocabilità. Non si tratta di yo-yo fatti per il mercato, ma piuttosto di prodotti esclusivi che Carlo Alberto ha sviluppato per soddisfare le sue esigenze di giocatore, ricercando una qualità difficilmente riscontrabile negli yo-yo commerciali.
Da Oxygène 1, primo yo-yo che si possa definire veramente professionale costruito in Italia, ad oggi, lo stile di gioco è cambiato non poco. Si è passati dalla old alla new school, sono nati nuovi tricks. I modelli Oxygène si sono aggiornati man mano, variando in forma, peso, larghezza del gap.
Oxygène 4 ha addirittura introdotto un sistema di ritorno del tutto originale e veramente funzionale, il recessed silicone response system, ispirando altri costruttori e modder. Tutto ciò per andare incontro alle tecniche di gioco più innovative.
Peculiarità comune a tutti i modelli Oxygène è la particolare raffinatezza della loro manifattura. Montano precisissimi assi in titanio (nessun altro yoyo vanta questa caratteristica), hanno coppe fatte di una pregiata lega aeronautica (eccetto un prototipo interamente in titanio) e girano su cuscinetti di ottima qualità.
Si tratta insomma di oggetti che toccano la perfezione sia dal punto di vista meccanico che da quello del gioco.
Il fatto che siano davvero pochi gli esemplari esistenti, alimenta ancor più il fascino di questo giocattolo tutto italiano.
Satin Oxy 4. Questa versione di Oxy 4 presenta in superficie una levigatura elicoidale che riduce l’attrito tra mano e yo-yo nei grinds.
Oxy 4 è di diametro più piccolo rispetto al 3 e ha shape più arrotondato.
Il profilo esterno ha scavata una nicchia che facilita i thumb-grinds.
Chi lo ha provato lo giudica uno dei migliori yoyo esistenti.
Oxy 3. La versione definitiva di Oxygène 3 è puramente new school.
Fu studiato per non essere reattivo, in modo di permettere l’esecuzione dei tricks che nascevano in quell’epoca, come lacerations, whips e suicides. Il suo richiamo avviene solo tramite bind. Ancor oggi non c’è trick che non possa essere eseguito con questo modello.
MiniOxy, Oxygène 2 e un prototipo di Oxygène 3
Ci sono collezionisti che farebbero follie per possedere questi pezzi, che hanno segnato la storia evolutiva dello yoing.
Il MiniOxy era controtendenza in un’epoca in cui gli yo-yo erano generalmente di grosso diametro.
Adotta il sistema beef-cake per presentare un gap oltremodo largo pur montando cuscinetti di piccole dimensioni.
Oxy 2 nasceva in piena old school.
Reattivo ma smooth come pochi, permette complessi tricks di corda senza tuttavia sganciarsi da giochi più tradizionali quali loops e reach for the moon.
Il prototipo di Oxy 3, infine, segna la transizione alla new school.
Adotta un cuscinetto molto più grande dei modelli antecedenti e l’o-ring response system per il ritorno. Unico legame col passato sono gli o-rings perimetrali, che servono a proteggerlo dai colpi e nei giochi a terra.
Intervista a Carlo Alberto Menon
Raccontaci qualcosa di te
Studio composizione e direzione d’orchestra in conservatorio perché, dopo la laurea in economia, non potevo sopportare di vedere la mia vita passare senza tentare di mettere tutto il mio impegno per realizzare il mio sogno più grande. Per il resto mi conoscete, dai! E se no succederà al prossimo raduno!
Da dove deriva il nome Oxygène?
Ormai diversi anni fa (sarà stato il 1995 o giù di lì) giocavo con un mio prototipo primordiale.
All’epoca non sapevo nemmeno che gli yo-yo potessero dormire… oggi non direi nemmeno che a quel tempo “giocavo allo yo-yo”: non facevo altro che forward passes in tutte le direzioni.
Eppure lo yo-yo mi faceva sempre compagnia e mi ci divertivo.
Ricordo benissimo che una mattina, mentre passeggiavo in un parco, facendo svolazzare quello di alluminio dei due yo-yo che avevo, notavo l’azzurro del cielo riflesso sul metallo e mi ritrovavo a fischiettare un famoso motivetto di Jean Michel Jarre, della raccolta “Oxygène” appunto.
Pensai istintivamente che quel nome così puro si addicesse al mio bel giocattolo. Passarono anni prima che facessi yo-yo più pregiati, ma la sensazione piacevole che provo tuttora nel maneggiare un mio yo-yo resta la stessa di quel giorno… pertanto il nome è rimasto lo stesso.
Come hai conosciuto lo yoyo ? Come hai cominciato ?
Quando avevo quasi sedici anni, mi trovai a una festa da un amico, che durava tutta la notte. Nessuno dei presenti giocava allo yo-yo, eravamo per lo più patiti di motorini e di musica.
A una certa ora, quando quasi tutti si erano messi a dormire, io trovai uno yo-yo di legno su una mensola e provai a lanciarlo. Niente da fare, non ero capace di usarlo!
Tanto che quei pochi ancora svegli mi presero in giro un bel po’!
Beh, passai la notte a provarci e riprovarci, senza mai dormire.
La mattina dopo lo sapevo lanciare in tutte le direzioni e accennavo qualche loop.
Il festeggiato mi disse che, dopo che ci avevo passato una notte intera, quello yo-yo doveva stare con me. Ma io tornai a casa, ne costruii uno uguale e gli restituii il suo.
Questo che costruii è quello che ricordo come il mio primo yo-yo.
Quello d’alluminio di cui parlavo prima, a proposito del nome, nacque poco dopo. Fu un regalo di Andrea, un caro amico tornitore presente alla festa, che, vedendomi patito per il giocattolo, me ne costruì uno apposta.
Ma io dovetti rimodellarlo drasticamente al tornio per alleggerirlo: in origine era un blocco massiccio… al primo lancio aveva rotto il cordino e, nella caduta libera conseguente, la piastrella del terrazzo di casa di Riccardo, dove ci trovavamo quando ricevetti il dono.
Raccontaci la tua carriera di Yoer
Visto che vi ho raccontato la protostoria, andiamo avanti da lì…
Nell’estate del 1997, il buon Riccardo, a cui avevo rotto la piastrella del terrazzo e che dalla festa notturna mi aveva sempre visto con lo yo-yo in tasca, venne apposta a casa mia per mostrarmi un articolo sulla rivista Focus, dove si parlava di yo-yo ad alta tecnologia.
Restai a bocca aperta.
A far da cornice ad una foto di una stella a due mani, erano illustrati diversi modelli di yo-yo con cuscinetto a sfere e indicato un negozio di Milano dove erano disponibili.
Il più costoso veniva 180 mila lire. Alzai il telefono e lo ordinai senza pensare più di tanto al fatto che stavo dilapidando il mio patrimonio.
Insieme presi anche un libretto che illustrava qualche trick.
“Se impari tutti i numeri del libricino puoi vincere i mondiali” mi aveva detto il ragazzo che aveva preso il mio ordine.
Quando il pacchetto arrivò conobbi finalmente lo sleeper. E non so descrivere lo stupore che provai vedendo per la prima volta, qualche giorno dopo, un trapeze… fatto da me stesso seguendo le istruzioni!
Imparai tutti i tricks del libro, ma presto lo yo-yo si ruppe: filetto spanato.
Così lo rifeci, usando materiali più robusti. Scoprii che a Mestre c’era un negozio che trattava yo-yo e ci andai a curiosare. Lì conobbi Michele e Laika e scoprii che giocare in compagnia era meglio!
E con loro iniziammo a far scuola ai ragazzi nei pressi del negozio e ci muovemmo alla ricerca di altri giocatori lungo la penisola. Venimmo a sapere che il costruttore e campione tedesco Harry Baier teneva corsi presso negozi in tutta Italia e andammo a conoscerlo a Udine.
E di lì si cominciò a frequentare altri giocatori: andammo a Ferrara a conoscere Steeeve, Attilio e Alan (i tre della pubblicità Yoyoloops :-p ), poi a Bologna a vedere la demo di Dennis Schleussner, e ancora a raduni di giocoleria, gare e via dicendo.
Feci tantissime grandi amicizie e ciò fu di notevole ispirazione per rinnovare i miei progetti, al passo coi tempi che stavano cambiando.
Erano anni in cui lo yo-yo era molto pubblicizzato e riscuoteva un certo successo tra gli adolescenti. Quando l’attrazione commerciale dello yo-yo svanì, ormai eravamo un buon gruppo di giocatori, che comunicavano attraverso la mailing list di yoyomaniacs, e si riuscì a portare avanti con le nostre forze l’annuale Campionato Nazionale instaurato da Harry Baier e Thomas Rausser, in particolare grazie all’impegno di Zot.
Prendemmo anche contatti con gli stranieri e un bel giorno in 6 valorosi partimmo per i campionati tedeschi di Munster. Mai divertito tanto!
Lì convincemmo gli altri stranieri a venire in Italia a maggio per un Meeting Europeo.
Lo organizzai io stesso, a Jesolo, con visita guidata a Venezia e fu un successo: vennero giocatori da Germania, Francia, Ungheria, Svizzera…
Era già il 2003. Quello stesso anno vinsi i Nazionali e decisi di andare ai Mondiali 2004.
Oxygène intanto si era evoluto per riuscire in tutti i tricks venuti alla luce con la new school e, pur non essendo disponibile sul mercato, stava acquisendo un’ottima fama: credo che i giocatori amassero il fatto che fosse costruito da uno di loro e non da un fabbricante.
Così ebbi la fortuna di essere ben noto un po’ a tutti gli appassionati e di lì fui invitato, in qualità di giudice, ai campionati nazionali di diverse nazioni.
Da allora ho smesso di competere e ho dedicato le mie energie a fare il giudice e nell’organizzazione dei nazionali italiani, con la collaborazione di Niubi e Capurro.
Oggi non ho molto tempo per tenere aggiornato il mio repertorio di tricks, ma lancio spesso lo yo-yo che ho in tasca.
Qualcuno mi assilla perché non costruisco i miei yo-yo in serie, ma la passione per le cose fatte bene continua a spingermi a ricercare nel mio piccolo nuovi materiali e forme per avvicinarmi il più possibile alla perfezione, senza badare troppo al mercato, ma piuttosto rincorrendo un ideale che ho da sempre in mente.
Per me è un divertimento, non un lavoro, e credo sia questo a dare un’anima ai miei pezzi. Per la cronaca, sto cercando di tirar fuori qualcosa dal titanio, ma anche di apportare qualche miglioria ai vecchi progetti.
E i tempi dell’organizzazione piuttosto “casalinga” dei nazionali sono finiti, c’è un’associazione organizzata ed io cerco di offrirle la mia esperienza affinché essa mantenga ed evidenzi lo spirito di amicizia che ho sempre ammirato trai giocatori di tutto il mondo, prima che ogni altro aspetto: sono dell’idea che grazie a questo fantastico gioco io abbia incontrato le più belle persone della mia vita.
Non voglio perdere questa occasione per sottolineare che devo moltissimo agli amici di yoyomaniacs per gli spunti offertimi e il sostegno che non mi hanno mai fatto mancare.
I momenti più significativi/emozionanti: persone incontrate, eventi
Qui devo tenere a freno la lingua, perché ne avrei di ricordi da raccontare…
Ogni momento di aggregazione avvenuto tramite lo yo-yo mi ha lasciato emozioni e ricordi indelebili.
Permettetemi di fare qualche “flash” (uso questa parola perché è proprio così che riappaiono nella mia mente: veloci abbagli di momenti felici).
Di qualcuno ho già accennato. Non posso mancare di ricordare il primo raduno con Harry Baier nel 1998, a Udine, e a seguire quello con Dennis Schleussner a Bologna; prima non sapevo che fosse così facile fare amicizia con campioni di yo-yo!
E ricordo con immenso piacere il caloroso benvenuto dalla mailing list di yoyomaniacs, a cui mi iscrissi tardivamente perché prima non ero dotato di un computer con connessione a internet.
E che nostalgia mi coglie se ripenso al viaggio a Munster per i nazionali tedeschi (il primo raduno fuori Italia a cui partecipai insieme ad altri eroi della mailing list, il Team Topa).
E il primo meeting Europeo? Lo organizzai con impegno ma anche con disinvoltura e tutto funzionò così bene che oggi non posso che attribuire il successo al grande spirito di collaborazione degli yoers.
Fu una gran cosa, perché colta al momento in cui i tempi erano maturi e partì così bene che ormai è un appuntamento fisso: intorno al primo di maggio, ci raduniamo ogni anno in una città europea diversa. Non ne ho mai perso uno, finora, e trovo che sia fantastico avere l’opportunità di girare l’Europa in compagnia degli amici dello yo-yo.
E come dimenticare la vittoria dei nazionali 2003?!
Non penso di aver mai provato gioia più grande di quando, ancora incredulo, venivo lanciato in aria dai miei amici (tutti i presenti), dopo l’annuncio della mia vittoria.
Fu come essere in paradiso!
E poi i mondiali. Conoscere tutte quelle persone che fino ad allora avevi visto solo nei video… i tuoi idoli che giocano accanto a te e ti insegnano tricks… o addirittura li imparano da te!
Fa strano prestare uno yo-yo a Johnny Del Valle e dopo accorgerti che te l’ha restituito con un nodo… anche i campioni del mondo fanno nodi eh eh!
E non so descrivere cosa significhi salire sul palco dove ogni anno si sfidano i migliori, con file di telecamere e occhi di giocatori di tutto il mondo puntati addosso; strappare un boato dalla platea con qualche trick chiuso (vabbeh l’emozione non mi ha permesso di chiuderne molti…) e accorgerti la notte che anche tu stai facendo come quei matti che avevi visto nei video, che, pur avendo una camera a qualche piano di sopra, dormono nella sala del contest per non perdersi un secondo di quel grandioso evento…
Chi ti ha più influenzato ? Quali sono i tuoi maestri?
All’inizio con Chele era uno scambio continuo: in due imparammo molto più svelti di quanto avremmo mai potuto fare ciascuno da casa sua.
Eravamo allo stesso tempo maestro e allievo l’un dell’altro.
Poi Harry Baier ci insegnò moltissimo della old school.
Per la new school devo molto a Saxa che venne settimane intere a casa mia a farmela conoscere: non fu facile per uno che sparava i reach for the moon anche dietro la schiena apprendere gli slacks e decine di modi di finire in green triangle.
Comunque, in generale, ho imparato un po’ da tutti: sono davvero pochi i giocatori che ho conosciuto da cui non ho avuto da imparare.
Non credo di aver preso a modello qualcuno in particolare, ma certo ammiro molti giocatori e semplicemente guardandoli ho arricchito il mio stile.
Per esempio di Black ho ammirato l’eleganza, di Takeshi lo stile “street”, di Yuuki Spencer la folle capacità di rendere artistiche cose estremamente complicate…ma come faccio a citare tutti i giocatori che ammiro?
Oggi come oggi, se potessi, costringerei Siminitto a una vacanza forzata con me e gli chiederei a insegnarmi tutto quel che sa: mi piace molto il suo stile e trovo che abbia tutto quello che vorrei anch’io come giocatore: conoscenza enciclopedica di tricks, versatilità, fantasia, gusto e tecnica.
Domandona finale: cos’è per te lo yo-yo?
Vorrei impostare la risposta su due aspetti: yo-yo come oggetto fisico e yo-yo in senso generico.
Riguardo il primo aspetto ho un’idea di yo-yo perfetto in mente.
Un oggetto speciale che gira preciso, suona pulito, scorre liscio sul cordino steso… più che un giocattolo è una macchina.
Cosa strana: in mente ce l’ho, ma non credo riuscirò mai a farlo, uno yo-yo così.
E’ la ricerca di questo ideale che mi ha spinto a fare gli yo-yo che ho creato.
Nel senso generico del termine, per me lo yo-yo è una disciplina, in cui ci si applica per riuscire a tagliare un traguardo e dove il traguardo si sposta di volta in volta secondo la propria ricerca personale.
Pur nella sua simpatica frivolezza trovo che sia una “via”, intesa (badate bene, senza pretese!) un po’ come nel suffisso -do che i giapponesi usano nei nomi delle arti marziali: un qualcosa che ti accompagna nell’arco della tua vita arricchendola, in cui impari sempre ma non hai mai finito di imparare, che si evolve con te e che in sé porta non solo la tua sfera personale, ma anche quella degli altri che ti stanno attorno e che con te condividono questa fantastica passione.
Chi non è yoyomaniaco a questa risposta si farà una risata, ma io non credo esista nient’altro al mondo di così piccolo, che porti con sé un valore tanto grande.